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Archive for aprile 2008

 

Anzitutto prendiamoci la nostra parte di responsabilità. Quando si perde nel modo in cui Sinistra Arcobaleno ha perso, precipitando dal 13 per cento di cui ci accreditavano un anno fa a poco più del 3 per cento, occorre guardare in casa propria. Tutto il resto (Veltroni, il “voto utile”, la dispersione a sinistra, i silenzi stampa…) sono dettagli. Non s’è inceppato un fucile: abbiamo sparato a salve. Allora, vi dico come la vedo io, senza presunzione di verità: diciamo, un contributo alla discussione.

Punto primo: Sinistra Arcobaleno era vecchia. Anagraficamente vecchia. Età media dei capilista camera e senato ben oltre i cinquant’anni. Siamo vecchi di mestiere: ceto politico, non migliore né peggiore di altri ma incapace di interpretare una richiesta di rinnovamento profondo che arriva dal paese reale. Siamo vecchi nel linguaggio, prevedibili, stanchi, confusi, ripetitivi, autoreferenziali. A tratti, credo, insopportabili. Un esempio: la “lotta di classe”, evocata da Bertinotti e con lui da tanti: concetto non errato in sé ma irrimediabilmente datato. Oggi il paese conosce un conflitto sociale più disperato di quello che descritto dalla lotta di classe. E la linea della disperazione è interclassista, passa tra i ricercatori universitari e i cassintegrati. Non c’è più una classe offesa e oppressa: a vivere sotto la linea di galleggiamento è un terzo del paese: piccola e media borghesia, pensionati, operai, giovani laureati, immigrati… Eppure molti di noi hanno continuato a insistere su una categoria politica di forte identità ma di scarsa realtà, come un karma da ripetere all’infinito per riempire le piazze vuote.

Punto secondo: l’essere comunisti. Dice Diliberto che “l’80 per cento di Sinistra Arcobaleno era composta da comunisti” e che dunque male abbiamo fatto a rinunciare a falce e martello. Ecco: questa è lo spirito della casta, credere che cucendosi sul petto la parola “comunista” si assume per diritto divino la rappresentanza politica degli operai, dei disoccupati, dei precari, dei pensionati, dei disperati o di chi semplicemente vuol vivere in un paese migliore… Qualcuno è cosí presuntuoso da immaginare che a Sesto San Giovanni abbiamo perso perchè non c’erano falce e martello accanto all’arcobaleno? O perchè i comizi non li concludevamo a pugno chiuso? “Noi comunisti” sento dire da taluni compagni: noi chi? Gli eletti? I militanti? Gli elettori? Pensiamo davvero che gli operai del nordest e i clientes di Lombardo ci hanno preso a pernacchie perchè non ci siamo proclamati orgogliosamente comunisti? Ma in che paese vivono codesti “comunisti”?

Punto terzo: la candidatura di Fausto Bertinotti. Lo dico, a scanso di equivoci, con grande rispetto e gratitudine per Bertinotti, per la responsabilità che si è assunto, per la sua scelta di investire la propria storia e la propria faccia in un difficilissimo processo unitario. Lasciamo agli amici di Grillo lo sfottò sul cachemire e sulla erre moscia, ma resta un fatto: quella candidatura, il linguaggio con cui si è rivolta al paese, la sensazione insopprimibile che anche il presidente della Camera fosse parte (una tra le migliori…) di un vecchio ceto politico: tutto questo non ha aiutato. Nell’indicazione di Bertinotti c’è stata, soprattutto, la scelta di non rischiare, di non osare candidature che avessero il sapore d’un tempo nuovo, di linguaggi più sfrontati, di raccontare e rappresentare un paese cambiato. E’ stata una decisione da burocrazia politica: e l’abbiamo pagata.

Insomma, siamo apparsi vecchi. Uno dei vizi della vecchiaia è l’istinto di sopravvivenza, smarrire ogni generosità, vivere alla giornata. E’ quello che adesso rischia di accadere: per qualcuno sarà più facile tornare nelle proprie ridotte, tirar fuori i vecchi vessilli, contarsi e ricontarsi pregustando che ad ogni giro il numero si assottigli sempre di più. Del resto, qualcuno aveva già cominciato a farlo. Abbiamo consumato quest’anno a emendare le virgole nei comunicati dei segretari, a fare mezzo passo avanti e due passi indietro, a ridurre la Sinistra Arcobaleno a un repertorio di nomenclature. Né uniti né plurali: insieme per caso. Dentro liste costruite a tavolino con la solerzia dei farmacisti, questo lo piazzo qui, quest’altro lo metto lì, tanto i voti sono nostri, sicuri come spiccioli in banca, viatico per elezioni sicure…

Che fare adesso? La prima cosa: evitare che siano i partiti a dettare tempi e modi della discussione, per poi gestirla nel chiuso dei propri organismi aspettando la resa dei conti dei congressi. Se così fosse, alla fine – qualunque fosse la fine – ci ritroveremo più magri e più soli di prima. Occorre una fase costituente a sinistra che, certo, va anzitutto condivisa con i partiti (con chi ci sta: gli altri tornino pure alle loro storie private) ma che sia gestita fuori, altrove, in luoghi e con percorsi da individuare. Insomma, occorre un processo di democrazia dal basso, senza “costituenti” nominati per cooptazione, senza padri nobili, senza quote da dividersi tra partiti e società civile.

Seconda urgenza: servono regole capaci di restituire visibilità, partecipazione e coinvolgimento a una sinistra diffusa che esiste e che ha scelto di non votarci non per aver abbandonato i nostri simboli ma per esserci rivelati superflui, autoreferenziali, rinchiusi nelle nostre stanze, capaci semplicemente di fabbricare comunicati stampa e di aggiornare organigrammi. Questa sinistra sociale ampia, larga, diffusa ma fino ad oggi esclusa, va rimotivata offrendole responsabilità e sovranità sul processo. Un processo che sia inedito nelle pratiche, fortemente democratico, solido nei contenuti, capace di parlare al paese reale e di farsi ascoltare. Perdonatemi, ma altra via non vedo. Se anno zero dev’essere, che lo sia anche in positivo, scegliendo ciò che non va fatto più e ciò che non va più rinviato.

 

Claudio Fava

(da www.sinistra-democratica.it)

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COSA SUCCEDERÀ DOMANI

 

Qualcuno diceva che la più alta forma di intelligenza è l’autocritica. E quanta ne dovremmo fare a fronte di un risultato elettorale quasi drammatico…? Perché è un vero dramma la scomparsa dal Parlamento della Sinistra.

E comunque di una cosa sono certo: il popolo ha sempre ragione. Se l’elettorato ha democraticamente decretato una sconfitta storica della Sinistra dobbiamo chiederci: perché? L’errore dell’analisi della sconfitta potrebbe essere ancor più grave della sconfitta stessa.

Per quello che ho potuto vedere in campagna elettorale il primo punto di debolezza è stata la mancanza di capacità nell’intercettare le esigenze prioritarie avvertite dalla gente. In particolare i ceti sociali più svantaggiati, sia quelli tradizionali (lavoratori dipendenti, pensionati, giovani precari) sia le nuove classi sociali disagiate: lavoratori autonomi, artigiani, piccoli commercianti; tutte categorie che oggi sono stritolate dal vortice travolgente della globalizzazione selvaggia e che non si sentono rappresentate da nessuno se non da movimenti populisti come la Lega.

Questo presuppone la grande esigenza di rinnovamento della classe dirigente, in un momento di assoluta necessità di “nuovo” in sostituzione di figure obsolete sia anagraficamente che culturalmente.

Ed inoltre la totale incapacità di comunicare. Perché su un punto dobbiamo essere orgogliosamente fermi e convinti: i valori della Sinistra sono sempre e comunque i più attuali, quelli legati agli interessi della collettività, quelli della solidarietà, quelli della giustizia. Valori che presuppongono il bene di molti anziché i privilegi di pochi. Ed allora perché valori così condivisibili non vengono percepiti? Perché personaggi populisti come Di Pietro, razzisti come Bossi o…non qualificabili come Berlusconi riescono ad attrarre milioni di persone? La grave incapacità della Sinistra a comunicare in modo semplice, comprensibile e credibile i propri programmi, i propri obiettivi vanifica la validità degli stessi. Ed in una società dominata dalla “comunicazione” questo limite può essere letale.

Cosa succederà domani? Cosa dovremo fare? Non lo so. Non ho ricette miracolose in mano. Però di una cosa sono certo: si va avanti. Si ricomincia a ricostruire. Perché da sempre la Sinistra “non combatte per la certezza della vittoria ma per la giustezza della causa”. Stare da questa parte significa comunque stare dalla parte più difficile, dalla parte in cui di deve dare tanto senza alcuna certezza di ricevere. Perché abbiamo l’obbligo morale di dare rappresentanza a milioni di persone sinceramente di Sinistra e che oggi non sono rappresentate da nessuno.

Ed allora forza Compagne e Compagni, si riparte: analizzando gli errori fatti con il pessimismo dell’intelligenza e guardando al futuro con l’ottimismo della volontà.

 

Roberto Vallasciani

 

 

 

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Care Compagne e cari Compagni,

al termine di questa campagna elettorale, tanto intensa quanto impari per occupazione mediatica da parte dei due grandi partiti, sento il dovere di ringraziare tutti coloro che ho incontrato in questa splendida avventura.

Anche se non ve ne era bisogno, ho avuto una straordinaria conferma di quanta voglia di Sinistra vi sia ancora nel nostro Paese. Sinistra come valori, Sinistra come passione, Sinistra come emozione. E dopo il 14 aprile noi avremo il dovere di dare una risposta ancora più forte a questo bisogno della nostra gente. Una Sinistra unita, sobria, moderna ma orgogliosa della propria storia. Per gli altri queste elezioni saranno un punto di arrivo per proprie aspirazioni, per noi un punto di partenza per un progetto di progresso e di giustizia sociale.

Un ultimo sforzo: domenica e lunedì diamo un’alternativa al pensiero unico.

Andiamo a votare “La Sinistra l’Arcobaleno”.

E le battaglie non si perdono mai…

Roberto Vallasciani

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Più che da leggere, c’è da vedere e da ascoltare: Giovanni Berlinguer, parlamentare europeo e componente il Direttivo di Sd, che rivolge il suo appello al voto per La Sinistra l’Arcobaleno soprattutto ai giovani.

In caso di problemi audio, consultate la pagina www.sinistra-democratica.it/tocca-ai-giovani-ricostruire-la-sinistra. 
 

 

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CARTOLINA DA PORCELLA

 

 

Qualche settimana fa Gennaro Carotenuto (www.gennarocarotenuto.it) ha pubblicato un interessante articolo dal titolo “L’arte di votare al tempo del Porcellum”. Invitandovi a visitare il suo sito, ne pubblico un estratto relativo al meccanismo elettorale per il Senato. E a votare, dopo aver letto attentamente il pezzo, La Sinistra L’Arcobaleno.

 

[…] Mettiamo che in una regione inesistente, che chiameremo Porcella, si attribuiscano 100 seggi. In realtà la regione che attribuisce più seggi è la Lombardia con 47, ma Porcella ci semplifica la cose. Dovendo attribuire 100 seggi, e sapendo che al partito primo arrivato il Porcellum attribuisce il 55% dei seggi è chiaro che nella Porcella questo prenderebbe esattamente 55 seggi (a meno di non avere più del 55% di voti, ma è un evento poco probabile che non considereremo).

 

Facciamo alcuni casi di scuola nei quali elimineremo per semplificare ulteriormente l’UDC:

 

1) Porcella è una regione rosa. Vince il PD ma la SA non fa il quorum. In questo caso il PD avrà 55 seggi, il PDL 45 e la SA 0.

 

2) Porcella è una regione rossa. Vince il PD e la SA fa il quorum. In questo caso il PD avrà sempre 55 seggi, la PDL (più o meno) 37 e la SA 8. Nota come a parità di rapporti di forza tra i due maggiori il rapporto tra i seggi si stravolga.

 

3) Porcella è una regione azzurra. Vince il PDL e la SA fa il quorum. In questo caso il PD avrà circa 37 seggi, il PDL 55 e la SA 8.

 

4) Porcella è una regione nera. Vince il PDL ma la SA non fa il quorum. In questo caso il PD avrà 45 seggi, il PDL 55 e la SA nessuno. Occhio, in questo caso vale con l’UDC quello che vale per SA al punto 2. Se la SA non fa il quorum, ma lo fa l’UDC, i voti a SA sottrarrano seggi al PD e favoriranno la PDL. Teoricamente al PDL potrebbe perfino convenire far convogliare propri voti superflui sulla SA per amplificare quest’obbiettivo.

 

E’ evidente che il caso più importante è il secondo. Per il PD la presenza di SA in Senato aumenta moltissimo il vantaggio sul PDL. Tornando dai numeri alla terra è quella differenza che regione rossa per regione rossa può (nell’ipotesi che Silvio Berlusconi vinca alla Camera) impedire alle destre di avere un’ampia maggioranza al Senato e governare comodamente per cinque anni. Ma al di là dei calcoli personali, e tutto questo articolo lo dimostra, voteremo con una legge indecente.

 

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Già nel 2006 due autorevoli settimanali europei stimolavano il popolo italiano dal liberarsi da una disgrazia che l’Italia non poteva di nuovo permettersi: un altro governo Berlusconi. Pensiamo che oggi tale pericolo sia ancora più attuale. Ma, siccome al peggio non c’è mai limite, oggi assistiamo ad un ulteriore pericolo per l’assetto politico di questo Paese.

Chi fronteggia il Cavaliere utilizza le stesse tecniche di comunicazione, lo stesso abuso dei mezzi di informazione e, cosa ancor peggiore, le stesse promesse e gli stessi argomenti programmatici. E la iattura più grande di un governo Berlusconi sarebbe un governo insieme al Partito teoricamente a lui avverso.

Un governo “Veltrusconi” con oltre l’80% dei consensi, capace di manipolare la Costituzione e di escogitare una legge elettorale per eliminare i residui partiti politici,  sarebbe un preoccupante

ridimensionamento del livello democratico del nostro Paese.

Tutto ciò si può scongiurare con un voto realmente di Sinistra. Un voto alla “Sinistra Arcobaleno”.

 

NB: la traduzione del titolo di copertina di Der Spiegel, pubblicata nel 2006, era “Il Padrino”

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Non c’è da stupirsi se Marcello Dell’Utri propone di riscrivere i libri di storia. Da storico dilettante, ci ha già provato. Qualche anno fa, a un cronista che gli chiedeva se esiste la mafia, rispose soavemente “Visto che c’è l’antimafia…”.

Di quella genia di consigliori siciliani che Berlusconi si tira dietro dal ’94, Dell’Utri è il più coerente. Ci verrebbe perfino voglia di dire, se non risultasse un ossimoro, che è intellettualmente il più onesto: che il capomafia Mangano sia un benemerito della storia patria, il senatore Dell’Utri lo ha sempre sostenuto. Certo, poi ci sono alcuni dettagli, miserie giudiziarie, come la condanna del suddetto Mangano, ex collaboratore di Berlusconi ad Arcore, per associazione a delinquere mafiosa e per traffico internazionale di droga. Vittima delle circostanze, ha sempre spiegato Dell’Utri  in un’espressione di affettuosa solidarietà, da condannato a condannato.

E i giudici, senatore? “Professionisti dell’antimafia, come disse Sciascia”. Dimentica Dell’Utri di aggiungere che i giudici a cui si riferiva Sciascia, in quel suo pessimo articolo, la mafia nel frattempo li ha ammazzati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

 

Dobbiamo continuare con l’esegesi dei paradossi e delle provocazioni recitate da Dell’Utri? Sarebbe stucchevole. Resta un fatto: quest’uomo è uno dei dirigenti più influenti del partito che potrebbe tornare al governo in Italia tra quattro giorni. Ovvero: un nemico dei giudici uccisi dalla mafia e un pubblico estimatore dei mafiosi.

Non ci aspettiamo che ne faccia ammenda il suo datore di lavoro Berlusconi: ci aspettiamo un rigurgito di decenza fra i tanti elettori felici e svagati che votando Berlusconi, Dell’Utri e Cuffaro domenica prossima saranno convinti di aver reso un buon servizio al paese.

 

Claudio Fava (Capolista al Senato in Sicilia per La Sinistra L’Arcobaleno)

 

 

 

 

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Alcuni giorni fa un top manager della Telecom, Riccardo Ruggiero, ha ricevuto una liquidazione di 17 milioni di Euro. Su tale importo il Dr. Ruggiero si vedrà applicare un’imposta del 12,5%. Sappiamo che la busta paga di un lavoratore dipendente da 1.000 Euro viene tassata del 23%, che un lavoratore autonomo ha una tassazione che può arrivare al 45% del proprio reddito mentre le rendite finanziarie, molto spesso speculative, hanno tuttora una tassazione del 12.5% così come quasi tutti i compensi dei top manager che incassano cifre astronomiche sotto forma di Stock Option e beneficiano di questa tassazione minima.

 

La Sinistra Arcobaleno sta portando avanti questa battaglia per innalzare la tassazione delle rendite finanziarie almeno al 20%, come nel resto d’Europa. Ma i poteri forti, la casta dei manager pubblici e privati, spalleggiata da gran parte della classe politica, si oppone strenuamente. Ma chi sono questi superuomini…?

 

Vi riportiamo di seguito il video di un intervento di uno di loro ad una Convention. Si chiama Luca Luciani, top manager TIM. Stipendio: 844 mila Euro, comprese indennità di trasferta, incentivi, una tantum.

Guardare per credere…

 

 

 

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Mario Monicelli ha firmato un appello di sostegno alla Sinistra Arcobaleno. Una presa di posizione importante, illustrata in questa intervista realizzata da Fabrizio Roncone, giornalista del Corriere della Sera.

 

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Mario Monicelli, senta: lei, straordinario maestro del cinema italiano, insieme ad altri intellettuali firma un appello di sostegno alla Sinistra Arcobaleno e allora… “Si fermi. Lei mi disturba per questo?”

 

Maestro… “Mi dica: lei è rimasto sorpreso? Non abbia timore…coraggio, mi risponda: è rimasto sorpreso?”

 

Sorpreso, no. Ma certo questo suo schierarsi così netto… “Netto? No, guardi: io fatico non poco a schierarmi con la Sinistra Arcobaleno”

 

Vuol dire che, istintivamente, sarebbe forse più propenso al Partito Democratico di Walter Veltroni? “Cosa? No no…quelli lì, Veltroni intendo, ha come modello di riferimento gli Stati Uniti, e lei, beh, capirà…”

 

I fratelli Kennedy, e forse più Bob di John, e poi… “E poi cosa? Lasci stare la dinastia Kennedy. Walter, purtroppo, ha come modello uno stato imperialista, spietato socialmente, dove chi è povero è molto povero e chi è ricco è  molto ricco”

 

Sono discorsi da sinistra estrema. “Infatti. I miei pensieri sono più a sinistra, e finalmente ci siamo, di quelli proposti dalla Sinistra Arcobaleno. Era ciò che cercavo di spiegarle: fatico a votare persini per loro. Per quelli che fanno promesse, proclami e che poi…”

 

E che poi? “Beh, poi vanno al governo, ci stanno due anni, e invece di mettere mano al conflitto di interessi di Berlusconi, preferiscono diventare Presidente della Camera e realizzare, quindi, un quinto delle promesse fatte in campagna elettorale”

 

Lei si riferisce a Fausto Bertinotti. “Guardi, io di Bertinotti sono amico, lo stimo e lo frequento con piacere, e lo incontro spesso a cena, con sua moglie Lella…solo che, davvero, io sarei un bel po’ più a sinistra di lui e della Sinistra Arcobaleno. Ma che cosa c’è in Italia più a sinistra di loro? Così mi tocca accontentarmi”

 

Lei è sempre stato così radicale? “Mio padre Tomaso, giornalista celebre e critico teatrale, fu perseguitato dal fascismo e, per questo, nel 1945 si suicidò. La prima cosa che perciò si può dire è che io sono antifascista dentro, nell’animo”

 

Poi? “Poi, nell’immediato dopoguerra, divenni socialista. Con il mio amico regista Mario Camerini facemmo pure un po’ di propaganda: all’epoca, a Roma, si tenevano discorsi in piazza Montecitorio o nella Galleria Colonna”

 

Quindi lei nasce socialista. “E sa quando smetto? Quando compare il faccione autoritario, dispotico di Bettino Craxi. Un esponente politico borghese, gran corruttore”

 

Eppure la figura di Craxi è stata assai rivalutata, maestro. “E chi se ne frega…Io non lo sopportavo, e così, politicamente, vagai qualche mese, finchè non finii dentro il Pci”

 

Molti registi italiani finivano in quei ranghi. “Il cinema italiano era rosso. Penso a Scola, a Scarpelli, a Benvenuti, a Gigi Magni…”

 

Comencini? “Gran socialista”

 

E gli attori? Sordi, Mastroianni, Gassman, Tognazzi, Manfredi…

“Ma, vede, gli attori, in genere, sono dei malati di mente che hanno una sola ambizione: quella di piacere a tutti. Si figuri che qualche grande avesse voglia di schierarsi politicamente”

 

Gian Maria Volontà si schierò. “E infatti era considerato un antipatico di prim’ordine”

 

A lei starà molto antipatico Silvio Berlusconi. “Dovrebbe essere il nemico numero uno di milioni di italiani. Ma siccome gli italiani sono stupidi, lo adorano. Chiunque prometta agli italiani benessere, riceve il loro voto”

 

Lei è pessimista. “Mi sfogo. Quando posso. E poi, le dico: sa perché sono riuscito ad arrivare a 93 anni così lucido da star qui a discutere di politica?”

 

No. Perché? “Perché non sono pessimista. Ma superficiale e comunista”

 

Fabrizio Roncone

 

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L’INVASOR

    

Come colonna sonora di questa campagna elettorale, ho scelto la Bella Ciao riarrangiata dai Modena City Ramblers. Una decisione che si lega a doppio filo alla campagna di boicottaggio della Coca-Cola messa in atto dal collettivo messicano di docenti AlterITA.

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MESSICO, SPOT COCA-COLA USA BELLA CIAO. LA PROTESTA DEI DOCENTI 

Anonimi fruitori del mezzo televisivo, ci hanno informato che una nota multinazionale ha recentemente realizzato uno spot televisivo il quale, per promuovere il suo nuovo prodotto, utilizza le melodie di una conosciuta canzone popolare italiana, Bella Ciao!. Detto spot é attualmente trasmesso dai canali televisivi commerciali messicani ed argentini. 

Già l’appropriazione di una melodia popolare per le finalità di lucro ci appare come una scelta discutibile sotto il profilo di sottrazione di un bene collettivo messo a disposizione del guadagno del privato. Ma il caso specifico ci indegna per i protagonisti di questa storia. Da un alto la Coca-Cola Company, dall’altro Bella Ciao!.

La prima é una nota multinazionale degli alimenti e delle bevande, che ha saputo in questi anni diventare una delle imprese a livello globale più presenti e ricche; e che ha dimostrato di esserci riuscita a scapito delle comunità produttive e di consumatori dove é presente. La seconda é una canzone del vasto canzoniere della guerra partigiana contro il regime fascista e contro l’occupazione nazista in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. La canzone di per sé cantata solo in certi territori liberati dalla lotta partigiana ha tuttavia assunto il ruolo di protagonista nel secondo dopoguerra, attraversando lotte e movimenti sociali che in Italia hanno costruito la sudata democrazia che oggi, ancora una volta, si rimette in gioco nell’attuale crisi politica italiana. E seppur meno cantata nell’Italia di oggi, negli ultimi vent’anni Bella Ciao! ha attraversato mari e monti per imporsi come canto delle resistenze e le lotte per la democrazia e contro ogni fascismo nel mondo. Oggi Bella Ciao! si canta in spagnolo in tutta l’America Latina, riuscendo a rompere i muri avendo conquistato anche una celeberrima traduzione inglese negli USA. 

Non ci sorprende la scelta di Coca-Cola Inc.. Non é la prima volta, né sarà l’ultima, che il capitale globale rappresentato da questa e molte altre imprese si appropri illegittimamente di note, linguaggi, modi, saperi e desideri che la collettività esprime con i suoi strumenti. Non vogliamo però farci sorprendere dal facile tentativo di dimenticare, lasciar perdere, far passare. Non accettiamo che Bella Ciao! possa essere associata ad una impresa le cui pratiche commerciali e lavorative sono oggetto di molteplici denunce per violazioni dei diritti umani in diverse parti del mondo; un’impresa che impone un modello di consumo assolutamente pericoloso per la salute collettiva; un’impresa, infine, che diffonde una visione della vita assolutamente falsa e senza memoria.

La memoria che abbiamo noi é un’altra: é quella della dignità, la pace, la libertà, la speranza che le nota di Bella Ciao! esprimono. Per questo continueremo a camminare sulle note di Bella Ciao! nella costruzione di una società più giusta e libera.

Autore: AlterITA – Collettivo di docenti di lingua e cultura italiana

La pagina della protesta: http://alteritamessico.blogspot.com/2008/02/bella-ciao-vs-coca-cola.html

Per aderire alla petizione invia una e-mail a alterita@gmail.com

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LA NOSTRA PALUDE

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Oliviero Beha, giornalista e scrittore (www.olivierobeha.it e www.behablog.it), mi ha rilasciato questa sua appassionata “dichiarazione di voto”. 

Ho un parere molto netto. L’idea è di una campagna elettorale tremenda, di un paese che sta affondando in una palude, come sto scrivendo nei miei libri, e che non verrà tirato fuori dalla palude ne dalle stesse persone ne dai meccanismi leggermente cambiati in cui operano le stesse persone che l’hanno trascinato in questa palude. Ho reso l’idea? 

E’ matematico: come fanno questi? perché dovrebbero cambiare? Persone di oltre cinquant’anni, dal più giovane (Veltroni) al più vecchio (Berlusconi), perché dovrebbero cambiare questo paese? Dovrebbero cambiare loro stessi ma loro sono quello che sono sempre stati e quindi non si vede come potrebbero farlo. Questa è la prima lettura, se vogliamo antropologica o biogenetica delle persone.

Nei miei libri parlo di una classe dirigente geneticamente modificata. Siamo governati, al Governo come all’opposizione, da ogm, compresa la parte politica per cui si candida Roberto. Sono delle questioni che vanno al di là delle divisioni politiche: sono ogm, umanamente ogm. 

La seconda lettura è che comunque vadano le elezioni perderemo tutti perché il meccanismo è appunto un guasto. 

La terza è che però, fermo restando tutto questo, non credo ci siano molte altre opzioni se non quelle due di cui vado a parlare: 

1) Mandare un segnale di astensione a tutti, al buon Dio, al Governo, all’opposizione, al Paese, perché ti hanno rubato la democrazia. Quindi io non voto perché a questo punto non voglio andare a votare, intanto con una legge elettorale che nelle cose è incostituzionale, altrimenti il Referendum non sarebbe stato approvato dalla Corte Costituzionale che nel momento in cui lo giudica accettabile rimette in discussione lo spirito e la forma di questa legge. E questo mi pare sia difficilmente contestabile.

Quindi uno può scegliere fra non andare al mare e non astenersi e basta, ma andare dal presidente del seggio e dimostrare che vuole davvero non votare. Semplicemente, il presidente deve verbalizzare questa scelta dell’elettore che avrebbe voluto votare ma che non ne vede le condizioni democratiche.

Questa è una formula. E se di fronte a questa ipotesi ci fossero parecchie persone che agissero in questo modo, allora la cosa comincerebbe ad avere comunque un certo peso politico e democratico. Vorrebbe dire che una parte degli italiani, le cosiddette minoranze che sono quelle che di solito hanno contribuito a salvare il paese in altri periodi della storia, si sono stufate. 

2) L’altra ipotesi è di non aver fiducia nemmeno in questo e di andare a votare per il meno peggio. Il meno peggio, se uno considera la politica di oggi sul piano pratico del potere, può essere Veltroni se uno pensa che il peggio sia Berlusconi. Se uno pensa che invece anche in realtà e votando Berlusconi – non voglio neanche pensarlo! – il meno peggio non sia Veltroni perché tutto sommato è nelle cose che si metta d’accordo per mandare Berlusconi al Quirinale e quindi per una sorta di consociativismo ulteriore o di complementarietà, come scrivo nei miei libri. Allora a questo punto uno cerca di salvarsi l’anima e il corpo votando delle persone oppure un partito che bene o male ancora si richiama formalmente o sostanzialmente alla Sinistra, come può essere la Sinistra Arcobaleno.

E qui veniamo quindi al nostro eroe. Se le cose stanno così, se uno decide di fare questo percorso, io consiglio di votare caldamente Roberto Vallasciani perché lo conosco, perché sono che è una persona perbene e che ha le idee assolutamente chiare. 

Oliviero Beha 

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La Politica. La Passione. La Coerenza. Pensavo a questo in una giornata uggiosa di novembre mentre divoravo chilometri per raggiungere per l’ennesima volta Milano. L’ennesima riunione di lavoro. Le stesse facce, lo stesso linguaggio, le stesse camice col collo alla francese, le stesse cravatte regimental…

La Politica. La Passione. La Coerenza. Pensavo a quanto frequente fosse il venir meno di tanti sani principi davanti alla tentazione di comodi privilegi. Pensavo alla sincerità delle prostitute che palesano il costo della propria dignità, con trasparenza, senza ipocrisie. Pensavo ai bizantinismi dialettici con cui tanti politici cercano di giustificare il proprio trasformismo. Pensavo ai loro lauti guadagni seduti su poltrone istituzionali ma anche alle loro facce tristi davanti ad uno specchio. Pensavo a quanto comodo fosse un sì ed a quanto pesantemente leggero fosse un no.

Pensavo a chi ripensa al proprio sessantotto seduto su di una comoda poltrona fantozziana ed è costretto a vergognarsi della propria emozione. O peggio ancora a non provare più un’emozione.

Pensavo…  Ed in quel momento, fermo per l’ennesima volta tra Bologna e Modena, sento Vasco alla radio. Sento “Stupendo”.

Ed uno stupendo Vasco mi aiuta ancora una volta ad essere orgoglioso di un’emozione.

L’emozione della coerenza. La Politica. La Passione. La coerenza.

Grazie Vasco.

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A tutti i nostri elettori. Per non dimenticare che la storia siamo noi

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GLI SPINACI DI VELTRONI

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di Gianni Zagato (dirigente nazionale La Sinistra L’Arcobaleno) 

Flaubert l’ha scritto più d’un secolo fa ma Veltroni – ogni giorno che passa ne troviamo conferma – se l’è riletto all’inizio di questa stranissima campagna elettorale e ne tiene copia pronta all’uso in qualche tavolino del pullman. E’ Il dizionario dei luoghi comuni, libro più che caro al suo autore. Il quale, una volta affrontato l’argomento, rimase colpito dalla sua immensità. Talmente colpito che il tomo fu pubblicato postumo e naturalmente incompleto. E’ uno di quei lavori work in progress che richiedono costanti aggiornamenti, tipici di un’opera eternamente incompiuta. Anni fa ci provò Ennio Flaiano, oggi sembra toccare a Veltroni, nel capitolo che in senso lato chiameremo la politica.

Il dizionario flaubertiano potrebbe essere così definito: come avere verità semplici semplici in un mondo sempre più complesso. Un primo segnale ci fu dato una sera dai telegiornali. Era il tempo del Veltroni che corre da solo mentre Bettini nel loft trattava con Di Pietro, i radicali, i socialisti. Veltroni contro la pedofilia, fu l’apertura. Nessuno degli altri leader trovò la forza di contraddirlo affermando l’opposto. Giorni dopo a Verona i telegiornali riportarono di Veltroni, testuale, il seguente pensiero: ogni volta che mi trovo davanti un aggressore e un aggredito non ho dubbi: sto dalla parte dell’aggredito. Convincente l’argomento, convinto, unanime e prolungato l’applauso dell’intero gremitissimo teatro. Era cominciata la tourné nel profondo e produttivo nord est del paese e se c’era un tema, dopo aver liquidato così quello della sicurezza, che non si poteva non affrontare era il tema del sociale in tutta la sua articolazione. Il lavoro, il precariato, il salario, l’operaio e imprenditore.

La partita si gioca qui, più che altrove e Walter lo sa bene. Per che altro, se non per questo, Nerozzi e Calearo sono stati messi lì a pugnare insieme? L’uno una vita passata nel sindacato a chiedere l’aumento del salario operaio, l’altro una vita passata a negarlo. Due secoli di moderno conflitto sociale definitivamente chiusi – è la prima volta in Europa – dalla foto che li ritrae cacciatori di voti per lo stesso partito. Rischiava di diventare pazzo Veltroni solo a sentir parlare di padroni ancora in giro per il mondo e così questi due tranquilli operatori del sociale, noti per la loro mansuetudine, due bonaccioni della trattativa, hanno dato il via con la loro vigorosa stretta di mano a quel patto tra produttori che rappresenta il cuore della proposta programmatica del partito democratico. Il conflitto sociale, potrebbe dire prima o poi da qualche gremita piazza Veltroni, teorizzato quasi due secoli or sono da Marx-Engels viene ora finalmente risolto, grazie all’entrata in scena del partito democratico, da Nerozzi-Calearo. Anche se, a dire il vero, a parlare per primi del moderno conflitto sociale, inevitabile prodotto della società industriale nelle sue varie forme storiche, non furono né Marx né Engels bensì Ricardo e Adam Smith. Veltroni si rilegga Smith, ci ricorda il sociologo del lavoro Luciano Gallino, si imbatterà in questa sua frase: “ Gli operai lottano per aumentare il salario, i padroni per diminuirlo”. Fin qui l’economista e intellettuale liberale inglese. Ecco ora però  Nerozzi e Calearo, uniti nella lotta, forgiatori dell’inedita figura sociale dell’operaio padrone, che col salario d’ora in poi se la vede da solo. Parliamo qui di operaio padrone e non però di padrone operaio, dato che ne aveva già parlato Berlusconi nei sei per tre della precedente campagna elettorale, su questo anche Calearo conviene.

We can, dunque. Aspettando Obama e l’America che verrà. Tacendo intanto di Bush e dell’America che c’è. Quella di una banca, tra le prime di quel paese e dunque al mondo, che il lunedì vale 20 miliardi di dollari e il martedì è a rischio bancarotta. Quella che guida i destini del mondo con un disavanzo pubblico in crescita esponenziale, per la metà frutto di spesa per armamenti e che ha fin qui adottato ricette congiunturali di rilancio dell’economia scegliendo la strada della guerra. Non una parola. Su questo terreno il luogo comune è più difficile da esercitare e il silenzio allora diventa la cosa giusta.

“Non è giusto un paese in cui i salari sono i più bassi d’Europa mentre gli stipendi dei parlamentari sono i più alti”. Vero. Infatti un paese “giusto” è quello dove i salari si alzano fino a raggiungere per lo meno la soglia della dignità umana, prevista dalla Costituzione repubblicana, e gli stipendi ai parlamentari si adeguano a quelli di tutti gli altri paesi europei. Come hanno proposto pochi mesi fa i deputati della sinistra, ottenendo il rifiuto in sede parlamentare di quelli del partito democratico. Un paese “giusto” resta tale ignorando questo o quel leader politico che snocciola in campagna elettorale le cifre della sua beneficienza. C’è un pubblico e c’è un privato, sempre. Le opere di beneficienza accrescono di valore quando restano nella discreta ombra, mentre l’equità sociale, fondata non sull’elargizione ma sul diritto, va detta e se necessario anche urlata. Se il pensiero diventa luogo comune e il partito diviene “interclassista”, dove operai e padroni spariscono nel conflitto per riemergere affratellati nel patto tra produttori, Nerozzi e Calearo sedere allo stesso banco e votare all’unisono, allora la politica andrà per davvero rivoltata se mai vorrà trovare uno spazio tra predominio economico e fondamentalismo religioso.

L’uso del luogo comune, tanta sociologia ce lo dimostra, può servire ad allargare il consenso. E nell’immediato questo può avvenire e può servire. Ma Veltroni dovrebbe pensare di più alla storia degli spinaci. Che siano ricchi di ferro è indubbio. Circa tre milligrammi per ogni etto di foglie. Ma sono meno ricchi dello zucchero o delle lenticchie, delle uova o dei frutti di mare. Ancor meno, molto di meno, della carne. Eppure bastò l’errore di trascrizione di una segretaria – svelato alcune decine d’anni dopo da scienziati tedeschi non proprio convinti – , una virgola fuori posto e tre milligrammi diventano trenta. Bimbi e partorienti costretti a ingurgitare la foglia verde ricca di ferro, un cartone animato di successo che fa il giro del mondo. Uno dei più colossali luoghi comuni. Tolto il quale e ristabilita la verità, si torna a vedere il mondo per com’è. Con gli operai dai salari bassi e i padroni dai crescenti profitti. Senza luoghi comuni resta un mondo che così com’è non può piacere. La politica che vogliamo è quella che può e deve cambiarlo.  

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