di Claudio Fava
Cari compagni, da ieri la Costituente di Sinistra ha un suo primo mattone, un inizio, un punto di partenza: non è ancora un soggetto politico, ma non è più una lontana profezia. Quando nascerà, quel soggetto politico dovrà nutrirsi del contributo e della passione di tanti: ma se qualcuno non si assumesse adesso la responsabilità di levare l’ancora, resteremmo inchiodati nel punto in cui gli elettori ci hanno confinati il 14 aprile: a contemplare i nostri lividi, a vagheggiare l’unità di tutta la sinistra, ad aspettare l’epifania.
E’ cosa nota che questa responsabilità – tirar su l’àncora prima che arrivasse la notte – ce la siamo assunta noi di Sinistra Democratica: accelerando, animando la discussione, costruendo tappe di buona volontà. Adesso però si naviga insieme.
Insieme a chi? Qualcuno insiste: insieme a tutta la sinistra. Per me va bene: per altri meno. Ferrero e Diliberto hanno concluso i loro congressi decidendo che non parteciperanno ad alcuna Costituente di sinistra e che il loro orizzonte strategico è l’unità dei comunisti. Insomma, non ci stanno. Che facciamo: aspettiamo i loro ripensamenti? Riassembliamo sinistra arcobaleno a prescindere? Continuiamo a ritenere che l’unità sia più importante della verità? Lo scorso primo maggio il partito dei comunisti italiani, segretario in testa, ha sfilato per le vie di Torino intonando l’inno russo, e cantandolo in russo: cosa ci unisce a loro? Quale idea di paese condividiamo con quei compagni? Se qualcuno vuole portare la salma di Lenin in Italia, affar suo: ma ci sarà consentito dire che questo paese ha bisogno di un’altra sinistra? Che servono meno maestri d’ortodossia e più compagni di strada?
Ci sono centinaia di migliaia di donne e uomini che sentono di essere ancora comunisti e che vogliono declinare questa loro identità non per custodire un museo di sacri paramenti ma per impegnarsi a fare, a trasformare il paese, a ripensare pratiche e linguaggi della politica. Senza fare finta che il voto di aprile sia stato solo un incidente di percorso. La Costituente di sinistra alla quale stiamo lavorando si rivolge a loro e ai tanti che vengono da altre culture, da altre storie o semplicemente dalla loro storia personale ma che sono pronti a mettersi in discussione per un progetto più ampio, più responsabile, meno “identitario”. Ci fa paura questo viaggio, compagni? Ci fa paura misurarci con chi non viene dai nostri recinti? Preferiremmo un bel rogito notarile tra segretari come si fece un anno fa?
Diciamoci la verità: alla riunione di sabato scorso, accanto ad alcuni interventi assai “politici” che frantumavano ogni capello in cento parti, i contributi più intensi e più positivi verso la Costituente sono arrivati da chi non ha mai avuto (o non ha più) una tessera di partito in tasca: Moni Ovaia, Ascanio Celestini, Alberto Asor Rosa, Flavio Lotti, Diego Novelli, Mario Tronti… Le loro parole (“facciamo bene, facciamo presto..”) ci raccontano il paese reale, quel paese che esiste oltre le nostre finestre sbarrate, che chiede di noi e che s’è stufato d’attendere le nostre liturgie, i nostri seminari, le nostre immense prudenze. Quel paese vuol sapere se ci siamo ancora, se siamo in condizioni di raccogliere la sfida per una nuova sinistra e per un nuovo centrosinistra.
Per un nuovo centro sinistra: proprio così. O preferiamo restare per sempre custodi dell’opposizione lasciando che questo paese si sbricioli nelle mani della destra? Vogliamo limitarci a testimoniare il nostro sdegno, la nostra purezza, la nostra “indisponibilità”? Non so voi: io no. Vengo da una terra in cui se avessimo risposto soltanto con l’indignazione all’aggressione dei poteri mafiosi saremmo stati fatti a pezzi. A me interessa battermi per liberare questo paese dall’egemonia della destra, per restituirgli coscienza di sé, dei suoi diritti e dei suoi doveri, per rimettere in piedi un alfabeto di beni comuni, di valori, di parole perdute. Se non lo facciamo noi, se non diventa il punto d’onore di un progetto della nostra Costituente, di che sinistra stiamo parlando? Una sinistra che non si ponga il problema di riguadagnare l’egemonia perduta, di trasformare il paese, di rappresentarlo sarebbe un circolo di lettura. Afflitto perchè Lenin è sepolto a Mosca e non qui, ma incapace di assumere su di sé l’urgenza della sfida politica.
E la sfida della politica pretende capacità di confrontarsi. Anche con il PD. Senza fraintendimenti né ammiccamenti. Il PD si è arenato su una deriva politica moderata e reticente, noi ci stiamo impegnando a ricostruire una sinistra autonoma, responsabile, popolare. Il PD s’accontenta di dialogare con Berlusconi, noi siamo convinti che non vi sia spazio per alcun dialogo con questa destra ma solo per un rigoroso confronto parlamentare nelle forme e nei luoghi istituzionali. Differenze profonde, di cultura e di pratica politica, che non ci sottraggono però dalla responsabilità di provare a ricostruire, se ne saremo capaci, un centrosinistra che recuperi almeno in parte lo spirito positivo del primo Ulivo. Sbagliamo? Dovremmo dire al PD ciascuno per la propria strada, felici di riproporre una separazione consensuale? Continuare a regalare, saecula saecolorum, il paese a questa destra? Non fingiamo di non capirci: confronto è solo confronto, punto! L’11 ottobre noi saremo in piazza per rilanciare l’opposizione: e il PD non ci sarà. Il 25 ottobre Veltroni costruirà il suo PD pride: e noi non ci saremo. Ma questo non ci sottrae dal dovere di capire cosa fare, insieme, per questo paese.
Insieme a tutti coloro che non dovranno chieder permesso a chiese e vescovi. Abbiamo chiesto anche ai radicali di contribuire con il loro patrimonio di battaglie civili; lo abbiamo chiesto anche ai socialisti, convinti che esiste un comune spazio a sinistra più fertile d’una mera somma di identità. Insomma, stiamo provando a mettere insieme un campo di forze e di idealità che non parla solo ai partiti ma che non intende prescindere da loro; che propone alla sinistra civile di assumersi responsabilità e sovranità; che chiede alle donne e agli uomini di cultura di spendere per una volta questa loro cultura non nel chiuso d’un seminario ma dentro la carne viva di un processo politico che sta nascendo adesso.
Non è facile. Molte diffidenze, molte prudenze, molti bizantinismi. La vecchia politica spesso è dentro di noi. Ma quell’àncora l’abbiamo tirata su: non sappiamo se sarà america o nuove indie, ma indietro non si torna.
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