Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for settembre 2008

IN PIAZZA CON LA CGIL

 

Cari compagni e amici,

la Cgil ha deciso di scendere in piazza nelle principali città italiane sabato 27 settembre. Le manifestazioni si terranno di mattino e a Fermo (ore 10, Piazzale Azzolino) vorremmo aprire la manifestazione con interventi di lavoratori precari, di migranti, di studenti e pensionati. Ci sarà poi un momento musicale con gruppi locali.

Credo sia evidente a tutti la situazione di difficoltà che sta vivendo il nostro paese sul piano economico e morale. Nei primi cento giorni di governo Berlusconi sono stati presi una serie impressionante di provvedimenti che devasteranno i diritti del lavoro e lo stato sociale. Di tutto questo credo non ci sia una percezione nel Paese!

La Cgil sta tentando di far ripartire un movimento di forte contrasto alla deriva qualunquista che sta passando anche tra i lavoratori e tra i cittadini più in generale, non sarà facile, ma il 27 settembre dovremo necessariamente riempire le piazze italiane.

Ti chiedo perciò di aiutarci per far riuscire quella di Fermo.

Saluti a tutti,

Peppe Santarelli (Filtea Cgil)

Read Full Post »

 

di Claudio Fava

 

Cari compagni, da ieri la Costituente di Sinistra ha un suo primo mattone, un inizio, un punto di partenza: non è ancora un soggetto politico, ma non è più una lontana profezia. Quando nascerà, quel soggetto politico dovrà nutrirsi del contributo e della passione di tanti: ma se qualcuno non si assumesse adesso la responsabilità di levare l’ancora, resteremmo inchiodati nel punto in cui gli elettori ci hanno confinati il 14 aprile: a contemplare i nostri lividi, a vagheggiare l’unità di tutta la sinistra, ad aspettare l’epifania.

E’ cosa nota che questa responsabilità – tirar su l’àncora prima che arrivasse la notte – ce la siamo assunta noi di Sinistra Democratica: accelerando, animando la discussione, costruendo tappe di buona volontà. Adesso però si naviga insieme.

Insieme a chi? Qualcuno insiste: insieme a tutta la sinistra. Per me va bene: per altri meno. Ferrero e Diliberto hanno concluso i loro congressi decidendo che non parteciperanno ad alcuna Costituente di sinistra e che il loro orizzonte strategico è l’unità dei comunisti. Insomma, non ci stanno. Che facciamo: aspettiamo i loro ripensamenti? Riassembliamo sinistra arcobaleno a prescindere? Continuiamo a ritenere che l’unità sia più importante della verità? Lo scorso primo maggio il partito dei comunisti italiani, segretario in testa, ha sfilato per le vie di Torino intonando l’inno russo, e cantandolo in russo: cosa ci unisce a loro? Quale idea di paese condividiamo con quei compagni? Se qualcuno vuole portare la salma di Lenin in Italia, affar suo: ma ci sarà consentito dire che questo paese ha bisogno di un’altra sinistra? Che servono meno maestri d’ortodossia e più compagni di strada?

Ci sono centinaia di migliaia di donne e uomini che sentono di essere ancora comunisti e che vogliono declinare questa loro identità non per custodire un museo di sacri paramenti ma per impegnarsi a fare, a trasformare il paese, a ripensare pratiche e linguaggi della politica. Senza fare finta che il voto di aprile sia stato solo un incidente di percorso. La Costituente di sinistra alla quale stiamo lavorando si rivolge a loro e ai tanti che vengono da altre culture, da altre storie o semplicemente dalla loro storia personale ma che sono pronti a mettersi in discussione per un progetto più ampio, più responsabile, meno “identitario”. Ci fa paura questo viaggio, compagni? Ci fa paura misurarci con chi non viene dai nostri recinti? Preferiremmo un bel rogito notarile tra segretari come si fece un anno fa?

Diciamoci la verità: alla riunione di sabato scorso, accanto ad alcuni interventi assai “politici” che frantumavano ogni capello in cento parti, i contributi più intensi e più positivi verso la Costituente sono arrivati da chi non ha mai avuto (o non ha più) una tessera di partito in tasca: Moni Ovaia, Ascanio Celestini, Alberto Asor Rosa, Flavio Lotti, Diego Novelli, Mario Tronti… Le loro parole (“facciamo bene, facciamo presto..”) ci raccontano il paese reale, quel paese che esiste oltre le nostre finestre sbarrate, che chiede di noi e che s’è stufato d’attendere le nostre liturgie, i nostri seminari, le nostre immense prudenze. Quel paese vuol sapere se ci siamo ancora, se siamo in condizioni di raccogliere la sfida per una nuova sinistra e per un nuovo centrosinistra.

Per un nuovo centro sinistra: proprio così. O preferiamo restare per sempre custodi dell’opposizione lasciando che questo paese si sbricioli nelle mani della destra? Vogliamo limitarci a testimoniare il nostro sdegno, la nostra purezza, la nostra “indisponibilità”? Non so voi: io no. Vengo da una terra in cui se avessimo risposto soltanto con l’indignazione all’aggressione dei poteri mafiosi saremmo stati fatti a pezzi. A me interessa battermi per liberare questo paese dall’egemonia della destra, per restituirgli coscienza di sé, dei suoi diritti e dei suoi doveri, per rimettere in piedi un alfabeto di beni comuni, di valori, di parole perdute. Se non lo facciamo noi, se non diventa il punto d’onore di un progetto della nostra Costituente, di che sinistra stiamo parlando? Una sinistra che non si ponga il problema di riguadagnare l’egemonia perduta, di trasformare il paese, di rappresentarlo sarebbe un circolo di lettura. Afflitto perchè Lenin è sepolto a Mosca e non qui, ma incapace di assumere su di sé l’urgenza della sfida politica.

E la sfida della politica pretende capacità di confrontarsi. Anche con il PD. Senza fraintendimenti né ammiccamenti. Il PD si è arenato su una deriva politica moderata e reticente, noi ci stiamo impegnando a ricostruire una sinistra autonoma, responsabile, popolare. Il PD s’accontenta di dialogare con Berlusconi, noi siamo convinti che non vi sia spazio per alcun dialogo con questa destra ma solo per un rigoroso confronto parlamentare nelle forme e nei luoghi istituzionali. Differenze profonde, di cultura e di pratica politica, che non ci sottraggono però dalla responsabilità di provare a ricostruire, se ne saremo capaci, un centrosinistra che recuperi almeno in parte lo spirito positivo del primo Ulivo. Sbagliamo? Dovremmo dire al PD ciascuno per la propria strada, felici di riproporre una separazione consensuale? Continuare a regalare, saecula saecolorum, il paese a questa destra? Non fingiamo di non capirci: confronto è solo confronto, punto! L’11 ottobre noi saremo in piazza per rilanciare l’opposizione: e il PD non ci sarà. Il 25 ottobre Veltroni costruirà il suo PD pride: e noi non ci saremo. Ma questo non ci sottrae dal dovere di capire cosa fare, insieme, per questo paese.

Insieme a tutti coloro che non dovranno chieder permesso a chiese e vescovi. Abbiamo chiesto anche ai radicali di contribuire con il loro patrimonio di battaglie civili; lo abbiamo chiesto anche ai socialisti, convinti che esiste un comune spazio a sinistra più fertile d’una mera somma di identità. Insomma, stiamo provando a mettere insieme un campo di forze e di idealità che non parla solo ai partiti ma che non intende prescindere da loro; che propone alla sinistra civile di assumersi responsabilità e sovranità; che chiede alle donne e agli uomini di cultura di spendere per una volta questa loro cultura non nel chiuso d’un seminario ma dentro la carne viva di un processo politico che sta nascendo adesso.

Non è facile. Molte diffidenze, molte prudenze, molti bizantinismi. La vecchia politica spesso è dentro di noi. Ma quell’àncora l’abbiamo tirata su: non sappiamo se sarà america o nuove indie, ma indietro non si torna.

Read Full Post »

L’ESTATE ROVENTE DEL PD

 

da Che bella società – Fabrizio Roncone – Io Donna 13 settembre 2008

 

C’è, incredibile ma vero, una buona notizia per i militanti del Partito democratico: tra 10 giorni arriverà finalmente l’autunno  e così tutti potranno finalmente considerare chiusa questa estate che, mediaticamente, è stata assolutamente terribile. A memoria di militante in vacanza non credo si fossero mai infilate tante immagini, tante discussioni imbarazzanti, inutili e comiche. Anche se la prima foto dell’album è solo tragica: c’è un vecchio e rispettato sindacalista in manette, l’ex socialista Ottaviano Del Turco, accusato di gestire la sanità abruzzese distribuendo e incassando mazzette. Carcere, isolamento, titoloni sui giornali. Il silenzio del Pd. Che non sa che dire. Che pensare. Proprio come davanti alla secondo foto: qui c’è sempre un ex socialista, Giuliano Amato, il quale ha però solo accettato l’invito del sindaco Gianni Alemanno di guidare una commissione bipartisan, che dovrebbe varare progetti e riforme per migliorare la vita dei romani. La Bindi, scossa, Parisi incerto, Rutelli muto. Così ci pensa il pungente Rino Formica a spiegare, in un’intervista al Corriere, quello che in realtà pensano buona parte dei leader del Pd: e cioé che Amato non ha saputo rinunciare all’ennesima poltrona. Perché Amato, spiega Formica, adora il potere. Esattamente come Franco Bassanini. Apriti cielo. Bassanini risponde furibondo e avvia un carteggio che, comprensibile a non più di 10 ex craxiani, va avanti per giorni. Fin quando l’attenzione dei militanti del Pd non viene catturata dalla foto di un uomo che, ombrellone sotto al braccio, ciabattoni, una maglietta che, forse a causa del vento, gli gonfia la pancia in modo spiacevole, avanza esausto sulla sabbia rovente di Sabaudia. Il quotidiano Libero prende la foto e la sbatte in prima pagina. Titolo: Ma chi è, un rom? No, è Veltroni. Altri giornali tengono la foto nelle pagine interne.

Però, insomma, resta la foto di una persona in difficoltà. Il messaggio che arriva è questo.

Giampaolo Pansa, sull’Espresso, s’interroga basito sulle capacità dello staff che segue il segretario. Ma è proprio nel Pd che dev’esserci una strana idea sul come fare comunicazione: a Dro, in Trentino, Enrico Letta raduna come ogni anni quelli che, secondo lui, sarebbero i quarantenni più intelligenti del Paese. Seminari, cervelli fumanti. Solo che poi nelle immpagini che passano i tigì, c’è lui, Letta, che gioca a Subbuteo. Ed esulta, tutto felice, perché ha vinto. Cosa?

Read Full Post »

GOVERNARE COL TRUCCO

 

Sono arrabbiata. Sono fiera di esserlo. La rabbia aiuta a non abituarsi a tutto. Ho sentito le parole del ministro Carfagna. Diceva: «Io provo orrore per le donne che vendono il proprio corpo per denaro». Parlava forse di un suo calendario? No, parlava delle prostitute o meglio: solo di quelle che stanno per strada. Perché non succede niente? Perché non telefoniamo, chiamiamo, bussiamo, usciamo per strada? Forse ci stiamo davvero abituando a tutto.

(Laura Guasti, Firenze)

 

Più che altro stiamo cadendo nella trappola magistralmente ordita in anni di politica televisiva da Berlusconi e dai suoi ministri: discutere dei dettagli, attaccarci agli slogan, accapigliarci su una scemenza di facciata senza arrivare mai alla sostanza delle cose. Il grembiule, il voto, la bella cordata di imprenditori che «vuole salvare la compagnia di bandiera», la tassa abolita, l’immondizia sparita, l’esercito per strada che così sei più tranquillo quando esci la sera. Chi non vorrebbe salvare Alitalia, camminare in strade pulite, pagare meno tasse, avere figli che imparano in classe le regole della convivenza e quando tornano a casa che è buio non debbano imbattersi in prostitute abbrutite? La gente di sinistra, forse? E allora che problema c’è: ecco qua il governo del fare, lasciatelo lavorare. La questione, purtroppo, è che è un trucco. È il gioco delle scatole: una bella scatola col fiocco da esibire, l’altra marcia da nascondere. Le tre carte. I limoni legati col nylon alle piante del G8, la calza sull’obiettivo che maschera le rughe. È sempre quel trucco lì, una toppa, e poi via per settimane a parlare del fiocco.

 

È evidente che lo scopo della proposta Carfagna non è quello di combattere la prostituzione: è un progetto di decoro urbano, il suo. Una questione di ordine, di eleganza dell’inquadratura. L’obiettivo è mostrare strade sgombre di viados. Guardate che pulizia. Se volesse combattere la prostituzione dovrebbe occuparsi della tratta di essere umani, di mafia del commercio sessuale, di chi fa entrare in Italia milioni di ragazzine senza documenti e poi le riduce in schiavitù, di come faccia e di chi glielo consenta. Dovrebbe poi anche occuparsi dell’altra prostituzione, quella tutta italiana e non di strada: la prostituzione «pulita» delle studentesse che ricevono in studi che sembrano quello del dentista e poi la sera vengono a fare la baby sitter a casa tua, ragazze ben pagate e ben consapevoli della loro scelta, del resto motivata dalla richiesta di un esercito di uomini «per bene» che saldato il conto tornano in ufficio. Non lo fa, naturalmente. Allo stesso modo Gelmini esibisce la sua riforma come quella del grembiule e dei voti in pagella, un bel ritorno all’ordine antico: peccato che tagli 90mila posti da maestro e azzoppi la scuola. La scatola vuota e ben ripulita dai debiti della cordata Alitalia, le tasse comunali che cambiano nome, l’esercito che fa la guardia alle discariche ma si dimentica dei treni dei tifosi. È sparita la camorra, a Napoli? Gomorra era uno scherzo? Certo che no, ma conta la foto. Un bell’annuncio, un bel grembiule blu, quattro soldati con la mitraglietta cosa vuoi che sia se poi alle volanti hanno tagliato la benzina. Devono solo stare fermi, tanto. E poi tutti giù a parlare di estetica, pazienza per l’etica.

 

Concita De Gregorio

 

(Fonte: l’Unità)

Read Full Post »

 

L’11 settembre del 2002 il New York Times ha scritto: “A distanza di un anno i cittadini sono meno informati sulle circostanze in cui sono morte 2.801 persone in pieno giorno all’estremità meridionale di Manhattan di quanto, nel 1912, trascorsa qualche settimana, non lo fossero a proposito del Titanic“. Sei anni dopo quell’articolo, quanto accade quel giorno resta ancora un mistero.

 

ZERO – inchiesta sull’11 settembre“: due anni di preparazione, ricerche, inchieste. Per scoprire tutto ciò che la versione ufficiale non dice.

 

“ZERO – inchiesta sull’11 settembre” è un film prodotto anche grazie all’azionariato popolare: il budget è stato diviso tra centinaia di piccoli produttori. Questo originale sistema di proprietà diffusa rende ZERO un film di tutti, un film unico.

 

www.zerofilm.info

Read Full Post »

 

 

di Claudio Fava

28 agosto 2008 (fonte www.unità.it)

 

Quando la mafia ammazzò Pio La Torre, l’attuale sindaco di Comiso Giuseppe Alfano aveva solo otto anni. Pochi. Un’età in cui le cose della vita hanno ancora contorni sfumati, e anche il dolore di un popolo, la violenza, la rabbia sono parole sfocate, concetti astratti.

 

 Non so se sia questo vizio di memoria a non permettere al sindaco Alfano di capire la gravità del suo gesto. Che non è solo un gesto inconsulto o uno sberleffo agli avversari sconfitti: è un gesto mafioso. Nel senso che riproduce l’intima cultura della mafia, la sua vocazione a cancellare uomini e memorie, a pretendere che si parli d’altro, che ci si preoccupi d’altro, che si guardi altrove.

Pio La Torre, a Comiso, non è il nome di un aeroporto: è la storia di un popolo, raccolta in uno dei suoi rari e felici momenti di indignazione. Pio La Torre sono i centomila siciliani che ventisei anni fa si presero le piazze e le strade di quel paese e andarono a manifestare davanti ai cancelli della base americana contro i missili cruise. Io c’ero, e ne porto memoria non come una consolazione o come un privilegio: c’ero e basta, confuso tra gli altri, convinto che quel giorno finiva qualcosa, forse il tempo di un’adolescenza che si era protratta troppo a lungo, e che dopo quella manifestazione nessuno di noi avrebbe potuto fingere di non capire.

Pio La Torre lo ammazzarono ventisei giorni dopo. Anche per quella mobilitazione, per i centomila in piazza, per il milione di firme che seppe raccogliere in poche settimane, per aver mostrato ai mafiosi l’esistenza di un’altra Sicilia, d’un altro modo di stare al mondo e di battersi contro le cose oscene di quel mondo. Per questo gli hanno avevano intitolato l’aeroporto di Comiso un quarto di secolo dopo la sua morte. Tardi. Ma comunque in tempo a recuperare il filo di quella storia e di quella morte.

Adesso arriva questo sindaco di trent’anni scarsi, s’appunta sul petto la sua stella da sceriffo e – come gli hanno mostrato tanti suoi colleghi sceriffi, da destra e da sinistra – si convince anche lui che la politica é far rumore, maneggiare delibere come pistole, dettare la propria legge. Solo che altrove se la prendono con i filippini o i lavavetri; in Sicilia, con i morti di mafia.

Ci aveva già provato Gianfranco Micciché, quando faceva il gran cerimoniere all’Assemblea regionale siciliana: “Liberiamoci da questa vocazione al lutto, da questi repertori di lapidi, basta parlar sempre di mafia: togliamo i nomi di Falcone e Borsellino dall’aeroporto di Palermo…”. E’ per il turismo, si giustificò Miccichè il giorno dopo. Geniale, davvero. Stavolta é peggio. Stavolta il sindaco di Comiso pretende di darsi ragione da solo, e lo fa con poveri argomenti, con parole di miseria: ”Come rileva un sondaggio effettuato a suo tempo, l’intitolazione a La Torre aveva riscontrato scarso gradimento fra i cittadini”. Ecco: è tutto là, in quell’espressione da mercatino televisivo, da auditel della politica: scarso gradimento. E pazienza per Pio La Torre, per le sue battaglie, per il modo in cui è crepato. Pazienza per questi morti di mafia, che ha ragione signor sindaco, troppi morti, tutti lì a prendersi in faccia il vento invece di ripiegarsi come giunchi ad aspettare che la mala giornata fosse passata. Pazienza anche per quei siciliani che per un giorno ebbero l’illusione di essere un popolo fiero e libero. Adesso é tempo che di mafia si torni a parlare a bassa voce. E che si riscriva per benino la storia restituendo all’aeroporto di Comiso il nome che la storia gli aveva dato: quello del generale Vincenzo Magliocco, morto in Africa nel 1936. Altro che mafia.

 

Read Full Post »